Prima delle campane
La storia di una delle canzoni natalizie più famose al mondo: Carol of the Bells
🎶Ding, dong, ding, dong.
A Natale le canzoni arrivano prima delle luci.
Si sentono nei negozi, nei bar, nelle auto ferme al semaforo. Le riconosciamo immediatamente, anche quando le ascoltiamo in maniera distratta. Bastano poche note ed è tornato quel periodo dell’anno in cui la musica smette di essere una scelta individuale e diventa un’esperienza collettiva.
Sono melodie che accompagnano le giornate, riempiono gli spazi, si ripetono fino a diventare parte di noi. È anche così che il Natale prende forma, senza farci caso: non solo attraverso ciò che guardiamo, ma anche attraverso ciò che ascoltiamo.
Tra queste canzoni ce n’è una con un ritmo incalzante, quasi ipnotico. Molti di voi la ricorderanno in una scena del film “Mamma ho perso l’aereo”: la scena della chiesa con il coro di bambini che canta il canto natalizio a cappella.
Parliamo di “Carol of the Bells”, uno dei brani natalizi più famosi al mondo.
Una melodia che non nasce a Natale, ma nei campi
Ecco, quella melodia, così familiare e legata all’immaginario natalizio occidentale, non nasce per il Natale. Non nasce nemmeno per l’inverno, né per evocare campane o festività cristiane. La sua storia comincia altrove, in un altro tempo e in un altro paesaggio.
Per ritrovarne l’origine bisogna spostarsi a est e soprattutto molto indietro nel tempo, in Ucraina. Quando la melodia prende forma, non è dicembre e non ci sono luci, né alberi addobbati, né chiese gremite. L’anno non sta finendo: sta ricominciando.
Il calendario è agricolo. Il tempo è scandito dalle stagioni e non dalle festività. Il nuovo anno coincide con il disgelo, con il ritorno degli uccelli migratori, con l’inizio dei lavori nei campi. È in questo contesto che si canta Shchedryk.
Shchedryk è un canto rituale, collettivo, augurale. Non è pensato per essere ascoltato in silenzio, né per essere eseguito su un palco. Si canta di casa in casa come gesto di buon auspicio. Le parole raccontano di una rondine che entra in un’abitazione e annuncia prosperità: raccolti abbondanti, bestiame in salute, un futuro favorevole. La musica è semplice, costruita su poche note ripetute, facili da ricordare e, cosa fondamentale, da tramandare.
Dal villaggio al concerto
All’inizio del Novecento, questo canto esce dal contesto esclusivamente popolare grazie al lavoro di Mykola Leontovych, compositore e insegnante ucraino impegnato nella raccolta e nella rielaborazione del patrimonio musicale tradizionale. Leontovych non crea la melodia: la ascolta, la studia e la riorganizza, trasformandola in un brano corale capace di funzionare anche fuori dal villaggio e dal rito.
Il suo intervento è essenziale ma decisivo. Mantiene la struttura semplice e ripetitiva del canto originale raffinandone al tempo stesso l’armonia e l’intreccio delle voci. Il risultato è un brano breve, immediatamente riconoscibile, che conserva il carattere popolare ma acquisisce una forma adatta alla sala da concerto. E se questa melodia era destinata a diventare un successo planetario, il suo arrangiatore sarebbe invece morto nel 1921 in circostanze oggi ricondotte alla repressione dell’Intellighenzia ucraina, nel tentativo di negare la sopravvivenza di una cultura autoctona indipendente.

La prima esecuzione pubblica del brano è del 1916 a Kyiv. Il brano viene accolto con favore e inizia a circolare all’interno di un movimento culturale più ampio, che in quegli anni tenta di definire e affermare un’identità ucraina autonoma anche attraverso la musica.
Shchedryk - versione ucraina, Wikimedia Commons
Dopo la prima guerra mondiale, Shchedryk lascia il paese natio insieme al Coro Repubblicano Ucraino diretto da Oleksandr Koshyts. La tournée in Europa e negli Stati Uniti non è soltanto un’iniziativa artistica: è un progetto politico e culturale. Attraverso la musica, l’Ucraina cerca visibilità e legittimità internazionale in un momento in cui la sua esistenza come Stato è messa in discussione.
Nel 1921 il coro si esibisce a New York. Il pubblico americano reagisce con entusiasmo a quella melodia rapida, insolita, lontana dai canoni occidentali più familiari. È in questo passaggio che Shchedryk inizia a essere percepita come qualcosa di universalizzabile, separabile dal suo contesto originario.
Nasce “Carol of the Bells”
Negli Stati Uniti, il brano viene notato da Peter J. Wilhousky, direttore d’orchestra e arrangiatore di origine ucraina. Wilhousky rimane colpito dalla struttura musicale, ma decide di intervenire sul testo. Non lo traduce: lo riscrive, in inglese, ispirandosi al ritmo incalzante della musica, che gli ricorda il suono delle campane. Siamo negli anni trenta del secolo scorso. Il riferimento alla primavera, alla rondine, all’abbondanza agricola scompare. Al suo posto entrano il Natale, le campane, la celebrazione invernale. Nel 1936 la versione inglese viene pubblicata con il titolo Carol of the Bells.
Da quel momento, la melodia inizia una seconda vita. Diventa un classico natalizio, riproposto ogni anno, reinterpretato in chiave corale, orchestrale, pop, cinematografica. La sua diffusione globale finisce per oscurare il canto da cui proviene.
Eppure la melodia è la stessa: quattro note ripetute che hanno attraversato secoli, confini, lingue e significati.
La storia di Carol of the Bells non è solo la storia di una canzone di Natale. È la storia di come la tradizione locale venga rielaborata, adattata, decontestualizzata e infine universalizzata. Di come un canto nato per augurare raccolti e futuro sia diventato la colonna sonora di un’altra festa, in un altro mondo.
🎶Ding, dong, ding, dong.
Le campane continuano a suonare. Ogni dicembre, quella melodia ritorna identica a se stessa, puntuale, riconoscibile. La sentiamo scorrere tra le vetrine illuminate, nei film che tornano ogni anno, nei cori improvvisati. Pochi si chiedono da dove venga o che cosa raccontasse prima di diventare ciò che è oggi.
Eppure, prima delle campane, prima dell’inverno, prima del Natale, quella musica parlava di un altro inizio. Non della fine dell’anno, ma della sua promessa. Di un tempo che ricominciava con la luce, con la terra che si apriva di nuovo e al nuovo, con un futuro da chiamare a voce alta.
Ascoltarla oggi significa anche questo: scoprire che al di là di un suono familiare può nascondersi una storia più lunga, più complessa e più distante di quanto siamo abituati a pensare.
Traduzione in inglese del canto originale Shchedryk
Shchedryk, shchedryk, shchedrivochka
Here flew the swallow from afar
Started to sing lively and loud
Asking the master to come out
Come here, oh come, master — it’s time
In the sheepfold wonders to find
Your lovely sheep have given birth
To little lambs of great worth
All of your wares are very fine
Coin you will have in a big pile
All of your wares are very fine
Coin you will have in a big pile
You have a wife
Fair as a dove
If not the coin, then the chaff
You have a wife fair as a dove
by Olena Androsova
Traduzione in italiano
Shchedryk, shchedryk, shchedrivochka
Qui volò la rondine da lontano
Cominciò a cantare allegramente e forte
Chiedendo al padrone di uscire
Vieni qui, oh vieni, padrone, è ora.
Nell’ovile ci sono meraviglie
Le tue adorabili pecore hanno partorito
piccoli agnelli di grande valore.
Tutte le tue merci sono molto belle
e avrai monete in un grande mucchio.
Tutte le tue merci sono molto belle
e avrai monete in un grande mucchio.
Hai una moglie
Bella come una colomba.
Se non la moneta, allora la pula
Hai una moglie bella come una colomba.
FONTI




Ma che meraviglia, non conoscevo questa storia!
Auguri di buon Natale a tutti voi.